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al testo di Amina Narimi
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E' il giorno che scompare e torna, coi capelli fradici sul prato, mi raggiunge il viso, da dove era partito.
Col cuore umano e la pelle più sottile di ogni mattina, gli occhi mi domandano di essere esauditi - nella cripta del palato non c’è pensiero- e viene dal sangue religioso luccicante nell’umido di poche sillabe un respiro, contenendo in pochi tratti di mistero tutto ciò che l'intelletto poi separa
dalla remota intensità di un sogno, dove il tuo salmo non arriva, imparo con le interiora delle bestie l’armonia, dal volo degli uccelli come danzi, nella processione dei bambini, che camminano sul verde come cielo lasciando lievi impronte, con l’arrivo
affondavo nell’aria del mio prato, nel taglio che riapriva la visione, e una sola creatura di fango nelle mani cui poggiare la testa rannicchiata: un’altra pelle mi toccava per la prima volta nuda, ad ascoltare, nel brivido del mondo addormentato, la notte della carne di un bambino che mangia cantando della neve.
Nell’erba tornavo gravida a vederlo dare calore sui luoghi da cui sgorga raggrumata nei gorghi dell'inconscio -in un'altra terra, in altro tempo, e a lungo- la parola che teneva sulle braccia- di quando solo per un giorno il fiume andò all'indietro come me tra i fili indescrivibili del prato- nel privilegio della quiete. Con la luce
sulle punte più sottili io ti ascolto dove il muschio si corica la sera a carezzare i sassi sopra il greto, dalla tua quercia, che ogni giorno corre finchè diviene un'aquila e scompare, nel moto unitario di natura
la morte non può niente, in piedi, dietro te. mentre mi piego per lavarmi il viso al fiume sei tu che mi sostieni perchè non cada. |
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